Che Andreotti non sia un santo non c’è dubbio. Ispirati da una frase a lui attribuita nel film “Il Divo” di Paolo Sorrentino, “i preti votano, Dio no”, potremmo anche aggiungere che “se i santi esistessero non farebbero politica” o per lo meno non la farebbero in Italia. Questo non per il solito populismo spiccio, secondo il quale il Belpaese era e sarà sempre governato da arruffoni e faccendieri di ogni tipo, ma perché, semplicemente la res publica, deve per forza di cose avere anche a che fare con tali arruffoni e faccendieri oltre che con le brave persone, che sono tante, almeno quanti sono i preti e i Santi già canonizzati.
Detto ciò quando parliamo di Giulio Andreotti in riferimento ad un avvenimento, dobbiamo anche contestualizzarlo storicamente, e non è un’operazione facile perché, compiuti oggi novant’anni, stiamo parlando di un uomo che ha visto nascere la Repubblica, è stato per sette volte Presidente del Consiglio e, con un incarico o con un altro, per cinquant’anni si è trovato alla guida del Paese.
Di Andreotti oggi sono soprattutto le vicende giudiziarie a colpire l’immaginario comune, e questo per una peculiarità tutta italiana, trasformare i procedimenti giudiziari in sentenze di colpevolezza prima del giudizio finale. Che poi l’imputato venga assolto, com’è successo per il senatore a vita, poco importa all’ “osservatore medio” e soprattutto a certa informazione, che sembra proprio lì appositamente a mantenere e produrre “osservatori medi”. Andreotti comunque, rifugiandosi nel suo proverbiale aplomb e nel suo archivio personale, ha sempre cercato di non dare adito a polemiche sterili e esterne alle aule di tribunale, in cui si è costantemente recato per seguire in prima persona le udienze. Rispetto delle istituzioni questo, da non sottovalutare, considerando anche la moda tutta italiana di inscenare nei salotti televisivi processi paralleli e delegittimazioni continue della magistratura.
Il paradosso poi risiede nel fatto che in molti sono pronti ad applaudire a tali attacchi allo Stato, prendiamo il caso del film “Il Divo” appunto, in cui salvata l’interpretazione straordinaria di Toni Servillo nei panni di Andreotti, si fa una ricostruzione delle vicende giudiziarie del senatore fumosa e tendenziosa, orchestrata da una regia più atta a spargere il seme del dubbio che quello della chiarezza. Strano che nessuno si adiri per questo, che nessuno insorga in tutela delle sentenze di assoluzione emesse dalla magistratura “in nome del popolo italiano”, ma anzi si premi ancora una volta la delegittimazione dello Stato, di chi l’ha rappresentato e soprattutto di chi è preposto a tutelarlo. Ma tant’è, questa è l’Italia e Andreotti l’ha conosciuta bene.
Questo articolo lo potete leggere anche QUI e anche QUI.
Detto ciò quando parliamo di Giulio Andreotti in riferimento ad un avvenimento, dobbiamo anche contestualizzarlo storicamente, e non è un’operazione facile perché, compiuti oggi novant’anni, stiamo parlando di un uomo che ha visto nascere la Repubblica, è stato per sette volte Presidente del Consiglio e, con un incarico o con un altro, per cinquant’anni si è trovato alla guida del Paese.
Di Andreotti oggi sono soprattutto le vicende giudiziarie a colpire l’immaginario comune, e questo per una peculiarità tutta italiana, trasformare i procedimenti giudiziari in sentenze di colpevolezza prima del giudizio finale. Che poi l’imputato venga assolto, com’è successo per il senatore a vita, poco importa all’ “osservatore medio” e soprattutto a certa informazione, che sembra proprio lì appositamente a mantenere e produrre “osservatori medi”. Andreotti comunque, rifugiandosi nel suo proverbiale aplomb e nel suo archivio personale, ha sempre cercato di non dare adito a polemiche sterili e esterne alle aule di tribunale, in cui si è costantemente recato per seguire in prima persona le udienze. Rispetto delle istituzioni questo, da non sottovalutare, considerando anche la moda tutta italiana di inscenare nei salotti televisivi processi paralleli e delegittimazioni continue della magistratura.
Il paradosso poi risiede nel fatto che in molti sono pronti ad applaudire a tali attacchi allo Stato, prendiamo il caso del film “Il Divo” appunto, in cui salvata l’interpretazione straordinaria di Toni Servillo nei panni di Andreotti, si fa una ricostruzione delle vicende giudiziarie del senatore fumosa e tendenziosa, orchestrata da una regia più atta a spargere il seme del dubbio che quello della chiarezza. Strano che nessuno si adiri per questo, che nessuno insorga in tutela delle sentenze di assoluzione emesse dalla magistratura “in nome del popolo italiano”, ma anzi si premi ancora una volta la delegittimazione dello Stato, di chi l’ha rappresentato e soprattutto di chi è preposto a tutelarlo. Ma tant’è, questa è l’Italia e Andreotti l’ha conosciuta bene.
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+ commenti + 5 commenti
"certa informazione che sembra messa li per mantenere gli osservatori medi"..
questa la sottoscrivo e la lodo.
Poi, applausi per il rispetto delle istituzioni da parte di chi presenzia a ogni udienza, silenzio eloquente riguardo a sentenze che non mi permetto di giudicare, ma che mi fanno riflettere.
Attualmente sto leggendo la bibliografia di andreotti..molto bella e interessante...comunque sia, che andreotti sia belzebù ci sta, che andreotti abbia avuto qualche rapporto di troppo con la mafia è innegabile, (perchè come diceva Giolitti:Un sarto che deve tagliare un abito per un gobbo, deve fare la gobba anche all' abito. Riferendosi all'italia e non a giulio), che poi il processo non porti a nulla lo si deve per diverse ragioni, tra le quali le leggi (sopratutto quelle ad personam) che noi non conosciamo, ma che per una strana ragione emettono sentenze discordanti (ricordo un bressan sbraitare contro lo zingaro che ha tirato sotto la gente che è ai domiciliari, ecc..), che la stampa faccia processi sommari sparando a zero, sottoscrivo in pieno, ma penso sia una cosa che diverte molt gli italiani (visto l'audiance di studio aperto). Che andreotti abbia fatto delle porcherie è stato riconosciuto anche da aldo moro, ma anche da Craxi e non solo, motivo per cui, a parer mio, non è mai diventato presidente della repubblica. Che il Divo sia un film e non un documentario e che sia un film bello come nn se ne vedono da tempo va riconosciuto, sopratutto perchè si basa su una delle cose più belle ed intriganti che il nostro paese ha...la politica italiana. Detto questo ammiro il Divo giulio non pechè sia un martire o un povero perseguitato, ma per il Genio incontestabile e l'ablità di incarnare personalmente l'Homus Politicus per eccellenza.
interessante teria di diego abatantuono in roma milano nel finale http://www.rai.tv/mpplaymedia/0,,RaiDue-MilanoRoma%5E7%5E124376,00.html
il succo è che gli anziani, non avendo nulla da fare dovrebbero lavorare...anzi...trovano nel lavoro un'interessante modus vivendi. a questo punto, se uno deve lavorare diciamo 40 anni, è giusto che si decida quando godersi la pensione...per cui magari non fare un cazzo e dedicarsi ai suoi interessi fino a 40 anni e poi lavorare, oppure decidere lui quando staccare, tipo un anno lavoro e uno no ecc... non male direi.
..e comunque.
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