Mi ascolto pensare...



...per sentire se passa qualcosa di buono. Mi sento così scollegato, così lontano dal posto in cui volevo andare che quasi non ricordo dov’è. Accarezzo i tasti sperando che parlino, guardo la sigaretta danzare sopra i tasti p-l-i-n-o della parola “parlino” appunto, perché la tengo con la destra e il fumo mi va in faccia, ogni tanto, quando schiaccio il tasto spazio e il primo “quasi freddo” di settembre visita la terrazza.
Mi blocco perché non mi sento più pensare.
Oggi ho pensato a mio nonno, mentre guidavo, passando davanti al centro commerciale, per ritirare le camice lavate e stirate, domani non saprò quale mettere ma sicuramente ne metterò una a righe. Ho tutte le camice a righe. Io odio le camice a quadretti, mi fanno miseria, mi indispongono. Odio anche quelle a righe, ma meno. Quando mi guardo allo specchio le righe mi disturbano.
Davanti allo specchio guardava la profondità del corridoio alle sue spalle. Le sedie appoggiate ai muri separate un metro l’una dall’altra, quasi fossero servite mai a far sedere qualcuno. I quadri pesanti appiccicati alle pareti ritraevano scene di battaglia, di un tempo dove si moriva guardando in faccia chi ti uccideva. Poi c’era lui, davanti a tutto questo, davanti allo specchio, con il suo completo scuro e la camicia a righe, senza cravatta, con i polsini slacciati sotto la giacca, questo era un vezzo di cui riusciva persino a compiacersi a volte, quando ancora riusciva ad ascoltarsi.
- Ha un appuntamento?
- Antonio Mareschi, alle 16.00
- Certo si accomodi pure, tra qualche minuto il Dottore dovrebbe liberarsi
- Attendo in piedi

Guardava le gambe della segretaria sotto il tavolo. Le caviglie né troppo fini né troppo grosse, sufficientemente erotiche pensò, forse ingannato dalla prospettiva e dalla velocità con cui le aveva osservate.
L’avrebbe voluta invitare a cena, così senza conoscerla, se era sposta non portava la fede e se era fidanzata non era sposata. L’avrebbe voluta invitare a cena, senza offenderla sembrando sfacciato, chiedendole di indossare quel vestito, quelle scarpe e con quell’acconciatura. Non era bella, le piaceva così, in quegli abiti ed in quel momento. L’avrebbe voluta invitare a cena alle 15.58, portando con se quel momento, quelle caviglie, quel pensiero.
Chi sa se capita anche agli Altri. Se lo chiedeva spesso. Chi sa se anche gli Altri provavano interesse per un preciso momento, per un preciso istante della vita di qualcun’Altro. Non gli interessava il resto, non cercava l’amore. Voleva rubarle la bellezza di quell’istante. L’impulso di quel frammento.
 

La vita accanto: altrove.


Adagiato al buio, sulla poltrona marrone, di pelle, quasi comoda. Osservo la tempesta dorata nell'aria, sorseggio fredda acqua di diamante in calice, per ricordarmi quanto e' preziosa. Fuori succede di tutto, non cade una goccia. Dalla porta a vetri spalancata irrompe gelida aria celeste, spinta da lontano, soffiata da un altro dio, quello che non e' con me, che mi aspetta, che mi tormenta. Vedo l'incanto di luci che disegnano nubi intermittenti, fluttuanti, sempre rinnovate. Il riflesso del bagliore dalla mia porzione di cielo mi parla di uno spettacolo meraviglioso poco distante, dietro l'angolo, dietro la finestra accanto, chiusa. Adagiato sulla poltrona con il cuore avido, riposo gli occhi nel buio. Ancora una volta la vita accade altrove. Dietro una finestra chiusa: dietro l'angolo.
 
 
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